giovedì 23 settembre 2010

La Figc batta un colpo, e la politica faccia la sua parte.

Scuola calcio. Il calcio è malato, ormai lo dicono tutti. Tv, giornali, web sono la cassa di risonanza mediatica della crisi di un sistema che necessita di coraggiose proposte per un deciso cambio di rotta. Peccato che come succede spesso, le proposte lasciano il posto a polemiche sterili sull’insuccesso sportivo di turno, come ad esempio è successo quest’estate. La stessa FIGC si nasconde dietro a nomine ci auguriamo non solo di immagine (Baggio, Rivera, Sacchi), conservando la classe dirigente attuale che continua a navigare a vista, incapace di scelte necessarie per cambiare sia il sistema, sia la mentalità, sia lo scopo. Per il calcio italiano deve diventare una priorità far crescere i ragazzi prima come uomini e poi come calciatori, formare giovani preparati tecnicamente e fisicamente, ma soprattutto portatori di una sana e onesta mentalità sportiva. Troppo spesso il sistema che conosciamo ha dimenticato che i settori giovanili non sono un dovere, ma una risorsa; non sono un costo, ma un investimento. Il fenomeno dei baby-stranieri non è certo solo una questione di nazionalità, ma di un mercato poco dignitoso. Le squadre professionistiche vanno a prendere giovani calciatori di paesi poveri per farli crescere da noi. Costano niente e rendono molto. Prendono il posto ai nostri ragazzi che magari hanno le stesse abilità e hanno fatto la trafila della scuola calcio. Un sistema questo, che mira ad arricchire pochi e ad impoverire i nostri vivai. Le nostre città sono piene di scuole calcio, ma sono vere scuole o luoghi dove si parcheggiano i bambini per non farli stare in casa?


I numeri raccontano di 21 squadre professionistiche non ammesse ai campionati; che solo 8-10 giocatori su 500 del campionato Primavera giocano stabilmente in serie A , dove solo l’8% dei calciatori è cresciuto nei vivai. Da ex-giocatore dilettante e ora allenatore, ma soprattutto da politico, voglio fare la mia parte per rinnovare un mondo che da fuori appare come sport, ma da dentro è conservazione, politica e business, una goccia rispetto al mare, ma con la speranza che si possa aprire un dibattito serio e attento sul problema. In attesa che la Federazione prenda coraggio ed estenda alcune regole già presenti, in Premier League e in Uefa, che favoriscano l’utilizzo di giovani anche in Serie A (tra queste la limitazione del numero dei giocatori in rosa tranne degli under 21, l’impiego di 7-8 giocatori ‘cresciuti in casa’, che abbiano disputato almeno tre campionati consecutivi prima del compimento dei 21 anni ecc), il mio invito è che prenda in esame alcune proposte per aprire scenari diversi ai vivai delle società che non partecipano al grande business del calcio, ma che svolgono una funzione sociale importante per i nostri ragazzi e allo stesso tempo possono fornire talenti per il grande calcio.
Fonte: violanews.com ◦
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