«Facevo il meccanico in paese e giocavo nel Laveno. Avevo avuto un'infanzia tragica. Persi mio padre a nove anni e mia madre a sedici. Dovevo badare a me stesso e il calcio era l'unica seduzione. In quel periodo ero poverissimo e dovevo lavorare perché uno stipendio qualcuno doveva pur tirarlo fuori».
Di Gigi Riva si accorsero i giornalisti del nostro quotidiano locale. «Ricordo ancora quella volta che La Prealpina di Varese - dopo che avevamo vinto un torneo notturno con una squadra del paese - scrisse: "Questo Luigi Riva è una futura promessa per il calcio italiano" Mia madre quel pezzettino di giornale lo mostrò a tutti, per riscattare l'immagine dell'orfano scontroso e solitario che ero».
Era l'inizio degli anni '60. Un'altra epoca e il bomber lo ricorda con l'amarezza per i tempi nostri. «I giovani d'oggi sono viziati. Hanno la moto, la discoteca fino all'alba...Noi tornavamo dal lago in bicicletta, ci fermavamo nel solito campo, mettevamo un sasso di qui e uno di là per delimitare la porta e si giocava finché non faceva buio».
Riva ha parole emozionate per l'altra sua città: Cagliari. «Sono arrivato da ragazzo che non ero nessuno, hanno fatto di me un eroe, mi hanno invitato a casa dopo i gol, mi hanno aiutato nei momenti difficili... non potevo tradire», conclude Riva, che fino al 2014 ha un contratto come team manager della Nazionale. «Grazie a loro ho fatto un lavoro gratificante e se dovessi tornare indietro rivorrei la stessa vita. Al Padreterno chiederei solo una piccola variante: di lasciarmi un po' più a lungo i genitori e far partecipare anche loro alla festa».
Fonte: www3.varesenews.it
◦
Nessun commento:
Posta un commento