E’strano che in un paese di 60 milioni di persone di cui almeno una decina giocano a calcio a vari titoli, si faccia fatica a trovare giovani di talento. È molto più probabile l’opposto, che i giovani ci siano, siano anche molti, ma sia sbagliato il modo in cui li si guarda, i criteri con cui li si giudica. In sostanza è probabile non manchino i giovani di qualità, ma chi deve trovarli e istruirli. La vera crisi è degli insegnanti. Fino a pochi anni fa il calcio era quasi per autodidatti. Si giocava nelle strade, negli oratori, nei prati, si giocava dovunque perché lo spazio era quasi dovunque. Il calcio non era uno sport, era il modo di passare la giornata fuori dalla scuola. I ragazzi crescevano in qualità semplicemente guardando le qualità del compagno. Erano i primi a capirne la diversità. E giocavano per ore e ore imparando a fare tutti i ruoli. Molte volte le voci sulla bravura dei migliori rimbalzavano di quartiere in quartiere. Alla fine arrivava un osservatore fatiscente che li portava in qualche società di periferia, dove andavano poi a loro volta a cercare le squadre più importanti. Era una selezione per gradi, naturale ma complessa, che portava agli insegnanti giocatori da rifinire, non da impostare. E i migliori maestri di calcio erano conosciuti e rispettati in città come grandi vecchi, la cui competenza non portava comunque mai ricchezza.
Non era il tempo dell’oro, era solo un altro tempo. Ma quando i ragazzi sono usciti dalla strada e sono entrati nelle scuole calcio, sono cominciati i problemi. Il calcio ha diminuito il divertimento, è diventato un confronto a pagamento. Oggi i bambini non giocano a calcio se non pagano la retta a una scuola. Ma il problema più grande è stato trovare i professori per queste scuole. È nato un vero e proprio nuovo mestiere. In Italia ci sono oggi circa 7mila scuole calcio, ognuna ha una decina di insegnanti. Fanno circa 70mila insegnanti specializzati, senza contare tutto il sottobosco e le scuole un po’ più arrangiate. Chi li ha specializzati? Che titoli hanno loro e che titoli avevano i loro insegnanti ammesso ci siano stati? Un ragazzo a 14 anni è già pieno dei difetti e delle qualità che si porterà dietro tutta la vita. Per il calcio è un ometto. È prima che viene costruito il giocatore. E prima di quella età si cade in questa specie di niente indifferenziato.
La soluzione non sta nel demonizzare le scuole calcio, sta nel dare una istruzione forte agli insegnanti. Quindi nel creare scuole per chi insegna nelle scuole. È molto difficile, ma il fatto che sia difficile non significa se ne possa fare a meno. Cattivi insegnanti costruiscono cattive generazioni. Chi deve fare questa prima grande operazione didattica? Non può che toccare a Coverciano, al Settore tecnico. Che da molto tempo si dedica all’istruzione di vertice e favorisce soltanto gli ex calciatori importanti. Eppure i giovani sono come l’erba, se l’annaffi cresce sempre. Ed è evidente che oggi il problema è di tecnica di base.
Anche in serie A sono arrivate generazioni di giovani che hanno problemi con i fondamentali del calcio, lo stop, il controllo, lo sguardo d’insieme. È abbastanza assurdo che si preferisca dar la colpa alle madri italiane piuttosto che prendere atto dell’anarchia e del dilettantismo in cui è caduto da anni l’insegnamento del calcio. Gli stranieri nel nostro campionato aumentano da tre anni al ritmo del 5.1% ogni stagione. È troppo, ma non troppo sbagliato se i giovani italiani non sono all’altezza. Andare a comprare all’estero significa poter scegliere tra tutto il mondo. In Italia i giovani che dalla Primavera riescono a salire in A non sono più di 4-5 a stagione. E solo uno farà forse il titolare. Nessuno è per principio contro i giocatori italiani. È il prodotto che offrono a non essere più all’altezza.
In questo buio si sono persi anche straordinari tesori di competenza che permettevano a poche decine di artigiani di capire prima di tutti le doti di campione chiuse dentro un ragazzo. Chi sa fare scouting oggi? Chi sa come si riconosce un campione? Chi è in grado di insegnarlo agli altri? E dove, in quale luogo deputato? C’è qualcuno che lo fa in Italia? No, eppure si tratta della cosa più importante, la prima. L’errore è pensare che il calcio sia uno solo, quello di vertice, quello di chi paga di più e può permettersi di saltare ogni ostacolo. Non è così. Il calcio ha bisogno di tutto, è prima di tutto piccola vita che esige da subito rispetto e professionalità. Se non dai qualità ai giovani non avrai indietro nemmeno quella che hanno dentro.
Mario Sconcerti – Corriere della Sera
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