martedì 12 ottobre 2010

BOLLINI: “QUESTA LAZIO NEL VIVAIO PUÒ FARE SCUOLA”

Scuola calcio a Roma. L’allenatore della Primavera: «E’ la nostra sfida: abbiamo un centro come Formello e uno staff di prima squadra che ci è sempre vicino Sono tornato perché l’ambiente mi dà tanta carica».


Tornato dopo sette anni. E’ tornato do­po lo scudetto vinto nel 2001. Alberto Bollini si è seduto nuovamente sulla panchina della Lazio Pri­mavera. In qualche modo è tornato a casa, perchè a Roma è sempre rimasto molto legato. Ed ha rico­minciato vincendo: il Tir­reno e Sport se lo è aggiu­dicato battendo tra l’altro la Roma nel derby. Non c’era modo migliore…
Cosa le ha chiesto il presidente Lotito quando l’ha chiamata per firma­re il contratto?

«Se pensa a risultati concreti no. Ho avvertito la sua stima, la sua fidu­cia. Ora tocca a me ri­cambiarlo».
Perché è tornato alla Lazio?

«Perché l’interesse ma­nifestatomi attraverso una telefonata del ds Tare mi ha lusingato. E’ bello ripartire da qui. E l’am­biente che ho trovato mi dà una grossa carica».
Lei se ne è andato dopo uno scudetto. Sa come è il calcio. La gente se ne aspetterà un altro…

«La situazione però è molto diversa. Allora lo scudetto arrivò al secon­do anno di lavoro su una fascia di età uniforme, gli ‘81. Ora stiamo costruen­do un gruppo. Le qualità individuali ci sono, biso­gnerà lavorare sulla com­pattezza di squadra. E poi vorrei ritrovare Di Mario che è importante per noi; così come Barreto che è un patrimonio della socie­tà ed ha talento. Però, tor­nando alle differenze, ce ne sono anche in positi­vo» .

Prego…

« Per esempio, quella Lazio era imbottita di na­zionali e noi vincemmo uno scudetto Primavera, ma in estate nessuno dei nostri andò in ritiro con la prima squadra. C’erano 24 nazionali… Ora la si­nergia c’è, è forte ed as­solutamente costruttiva».

E anche la Lazio di Re­ja è prima!

«Ecco la differenza po­sitiva. Che è importante non solo sotto il profilo tecnico, ma perché l’en­tuasiasmo è contagioso. Poi è chiaro che la prima squadra attuale sta cre­scendo ora. Ma sono cer­to che le cose non cambie­ranno andando avanti. C’è troppa sintonia con Reja».
Ce la racconta?

«C’è un interscambio quotidiano. C’è confronto sui metodi di allenamen­to, sulle caratteristiche dei giocatori. La parola chiave è interesse: inte­resse reciproco».
Questo rapporto, por­tandolo sul campo, ha co­struito il fenomeno Ca­vanda. Come è andata?

«Un progetto perfetto che Reja ha studiato nei particolari. Il ragazzo è andato in ritiro con la pri­ma squadra, è tornato con noi che gli abbiamo dato il minutaggio con il Tirre­no e Sport, ha esordito con il Milan in A facendo una grande prestazione. Il giorno dopo, con intelli­genza, si è spogliato nel nostro spogliatoio della Primavera, ha incassato i complimenti di tutti. Io gli ho solo detto di ricor­darsi che certe volte, gio­care in A da esordiente può essere più facile per­ché ti può capitare uno come Ronaldinho, che ti rispetta più di un tuo pari categoria. E ha meno in­teresse a metterti in diffi­coltà, è più “leale”. Ma gli ho detto anche di ricor­darsi che quello doveva considerarlo un punto di partenza e non di arrivo. Ora è stabilmente con Re­ja».

Molti suoi colleghi, ma­gari anche lei, potrebbe­ro dire: l’ho perso!

«Niente di più sbaglia­to: Cavanda è un prodotto del vivaio che va in prima squadra. Una vittoria».

Le piace l’idea del cam­pionato Primavera tra­sformato in torneo per seconde squadre come nelle maggiori realtà straniere?

«Se ne è parlato alla riu­nione a Coverciano per i settori giovanili. C’erano Albertini, Sacchi, Ulivie­ri, i tecnici delle naziona­li. C’è grande predisposi­zione, io credo e spero che alla voglia corrispon­da il coraggio. Sono venu­ti fuori temi interessanti da quel confronto. Si è parlato di tecnica analiti­ca e applicata, dell’impor­tanza delle strutture e delle difficoltà di molti che non le hanno. Di tan­ti aspetti che sembrano secondari per chi legge ma che sono invece fon­damentali: sapersi rela­zionare con i ragazzi, con la scuola e la famiglia, avere competenza psico­logica, dare affetto, per­ché il giovane che si sen­te capito da il massimo e accresce l’autostima. Io ci aggiungo il senso di ap­partenenza alla maglia che fa squadra più di ogni altra cosa».

Insomma, il campiona­to delle seconde squadre si farà.

«Ripeto, lo spero. Ser­virà a far crescere anco­ra più i giovani, soprat­tutto sotto il profilo ago­nistico. Certo, ora siamo ancora lontani da certa mentalità di grandi club stranieri. Il Bayern ha 11 elementi che vengono dal settore giovanile. Come i tedeschi ci sono i mag­giori club inglesi e spa­gnoli ».
La Lazio può provare a fare scuola in questo sen­so?

«La Lazio ha i mezzi perché questo possa av­venire. E deve essere la nostra sfida. Ha un centro come Formello, che ti dà tutto, ha il ritrovato entu­siasmo della gente per i risultati della prima squa­dra, ha lo staff della pri­ma squadra che è vicino alla Primavera e un ds, Tare, che segue tutto, dai più piccoli ai grandi. E una città come Roma, ba­cino enorme».
Lei parla di entusia­smo. Un campione come Hernanes lo crea nei suoi ragazzi?

«Lui non è arrivato co­me il campione concla­mato. Ecco perché credo che il termine più giusto nei suoi confronti sia cu­riosità: grandissima. Nel­la prima amichevole ci fe­ce un gol da 30 metri. Quanto ne hanno parlato i ragazzi. Da allora c’è grande attenzione per la sua visione e facilità di gioco».
Ha allenato Marilungo e Babacar, ora nelle pri­me squadre in A. Il presi­dente Lotito dopo il Tir­reno e Sport ha elogiato Ceccarelli. C’è in questo ragazzo il talento che po­trebbe portarlo dove so­no gli altri due?

«Ceccarelli ha grandi mezzi che lo possono por­tare sicuramente dove so­no gli altri. Deve far cre­scere l’aspetto caratteria­le insieme a quello tecni­co. Sta già facendo grandi progressi».
Fonte: Corriere dello Sport



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