Tornato dopo sette anni. E’ tornato dopo lo scudetto vinto nel 2001. Alberto Bollini si è seduto nuovamente sulla panchina della Lazio Primavera. In qualche modo è tornato a casa, perchè a Roma è sempre rimasto molto legato. Ed ha ricominciato vincendo: il Tirreno e Sport se lo è aggiudicato battendo tra l’altro la Roma nel derby. Non c’era modo migliore…
Cosa le ha chiesto il presidente Lotito quando l’ha chiamata per firmare il contratto?
«Se pensa a risultati concreti no. Ho avvertito la sua stima, la sua fiducia. Ora tocca a me ricambiarlo».
Perché è tornato alla Lazio?
«Perché l’interesse manifestatomi attraverso una telefonata del ds Tare mi ha lusingato. E’ bello ripartire da qui. E l’ambiente che ho trovato mi dà una grossa carica».
Lei se ne è andato dopo uno scudetto. Sa come è il calcio. La gente se ne aspetterà un altro…
«La situazione però è molto diversa. Allora lo scudetto arrivò al secondo anno di lavoro su una fascia di età uniforme, gli ‘81. Ora stiamo costruendo un gruppo. Le qualità individuali ci sono, bisognerà lavorare sulla compattezza di squadra. E poi vorrei ritrovare Di Mario che è importante per noi; così come Barreto che è un patrimonio della società ed ha talento. Però, tornando alle differenze, ce ne sono anche in positivo» .
Prego…
« Per esempio, quella Lazio era imbottita di nazionali e noi vincemmo uno scudetto Primavera, ma in estate nessuno dei nostri andò in ritiro con la prima squadra. C’erano 24 nazionali… Ora la sinergia c’è, è forte ed assolutamente costruttiva».
E anche la Lazio di Reja è prima!
«Ecco la differenza positiva. Che è importante non solo sotto il profilo tecnico, ma perché l’entuasiasmo è contagioso. Poi è chiaro che la prima squadra attuale sta crescendo ora. Ma sono certo che le cose non cambieranno andando avanti. C’è troppa sintonia con Reja».
Ce la racconta?
«C’è un interscambio quotidiano. C’è confronto sui metodi di allenamento, sulle caratteristiche dei giocatori. La parola chiave è interesse: interesse reciproco».
Questo rapporto, portandolo sul campo, ha costruito il fenomeno Cavanda. Come è andata?
«Un progetto perfetto che Reja ha studiato nei particolari. Il ragazzo è andato in ritiro con la prima squadra, è tornato con noi che gli abbiamo dato il minutaggio con il Tirreno e Sport, ha esordito con il Milan in A facendo una grande prestazione. Il giorno dopo, con intelligenza, si è spogliato nel nostro spogliatoio della Primavera, ha incassato i complimenti di tutti. Io gli ho solo detto di ricordarsi che certe volte, giocare in A da esordiente può essere più facile perché ti può capitare uno come Ronaldinho, che ti rispetta più di un tuo pari categoria. E ha meno interesse a metterti in difficoltà, è più “leale”. Ma gli ho detto anche di ricordarsi che quello doveva considerarlo un punto di partenza e non di arrivo. Ora è stabilmente con Reja».
Molti suoi colleghi, magari anche lei, potrebbero dire: l’ho perso!
«Niente di più sbagliato: Cavanda è un prodotto del vivaio che va in prima squadra. Una vittoria».
Le piace l’idea del campionato Primavera trasformato in torneo per seconde squadre come nelle maggiori realtà straniere?
«Se ne è parlato alla riunione a Coverciano per i settori giovanili. C’erano Albertini, Sacchi, Ulivieri, i tecnici delle nazionali. C’è grande predisposizione, io credo e spero che alla voglia corrisponda il coraggio. Sono venuti fuori temi interessanti da quel confronto. Si è parlato di tecnica analitica e applicata, dell’importanza delle strutture e delle difficoltà di molti che non le hanno. Di tanti aspetti che sembrano secondari per chi legge ma che sono invece fondamentali: sapersi relazionare con i ragazzi, con la scuola e la famiglia, avere competenza psicologica, dare affetto, perché il giovane che si sente capito da il massimo e accresce l’autostima. Io ci aggiungo il senso di appartenenza alla maglia che fa squadra più di ogni altra cosa».
Insomma, il campionato delle seconde squadre si farà.
«Ripeto, lo spero. Servirà a far crescere ancora più i giovani, soprattutto sotto il profilo agonistico. Certo, ora siamo ancora lontani da certa mentalità di grandi club stranieri. Il Bayern ha 11 elementi che vengono dal settore giovanile. Come i tedeschi ci sono i maggiori club inglesi e spagnoli ».
La Lazio può provare a fare scuola in questo senso?
«La Lazio ha i mezzi perché questo possa avvenire. E deve essere la nostra sfida. Ha un centro come Formello, che ti dà tutto, ha il ritrovato entusiasmo della gente per i risultati della prima squadra, ha lo staff della prima squadra che è vicino alla Primavera e un ds, Tare, che segue tutto, dai più piccoli ai grandi. E una città come Roma, bacino enorme».
Lei parla di entusiasmo. Un campione come Hernanes lo crea nei suoi ragazzi?
«Lui non è arrivato come il campione conclamato. Ecco perché credo che il termine più giusto nei suoi confronti sia curiosità: grandissima. Nella prima amichevole ci fece un gol da 30 metri. Quanto ne hanno parlato i ragazzi. Da allora c’è grande attenzione per la sua visione e facilità di gioco».
Ha allenato Marilungo e Babacar, ora nelle prime squadre in A. Il presidente Lotito dopo il Tirreno e Sport ha elogiato Ceccarelli. C’è in questo ragazzo il talento che potrebbe portarlo dove sono gli altri due?
«Ceccarelli ha grandi mezzi che lo possono portare sicuramente dove sono gli altri. Deve far crescere l’aspetto caratteriale insieme a quello tecnico. Sta già facendo grandi progressi».
Fonte: Corriere dello Sport
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