sabato 2 ottobre 2010

Scuola calcio a Roma: Simone Inzaghi ora è un allenatore della Lazio.

Scuola calcio a Roma. Chi l'avrebbe mai detto. L'ex ragazzo prodigio uscito dal vivaio del Piacenza, che qualcuno diceva fosse più forte del fratello famoso, si è messo a studiare da allenatore. Parliamo di Simone Inzaghi, una vita tra Piacenza e Lazio ma anche tra gossip, flirt chiacchierati e una notorietà extra-calcio che l'ha anche danneggiato.

La nuova avventura parte dai ragazzi della Lazio, classe '95, che partecipano al campionato Allievi Regionale e che si allenano al campo Gentili. Da Formello alla via Cassia, per preparare il derby col Tor di Quinto. L'entusiasmo di Inzaghino è palese, come emerge dall'intervista rilasciata al Corriere dello Sport.
Quell'entusiasmo che aveva quando nel 1998-1999 si affacciò in Serie A per sfidare Pippo, che vestiva la maglia juventina. E la stessa verve di quando fece la famosa quaterna al Marsiglia in Champions League, che lo fece entrare nell'olimpo dei bomber europei.
Il vivaio biancoceleste è un sogno che si avvera, un'idea balenata sul finire della carriera accompagnata dai troppi infortuni: "E’ sempre stato un mio deside­rio, tempo fa ne avevo parlato con il presidente Lotito. Alla fine del cam­pionato, è arrivata la proposta della società e l’ho accettata con grandis­simo entusiasmo, decidendo di in­traprendere una nuova avventura. Tre anni fa, quando mi ero fermato a lungo per problemi alla schiena, avevo preso il patentino di terza ca­tegoria. Io ci pensavo, Lotito mi dis­se che gli sembravo portato per questa professione. A distanza di tempo, ha onorato la promessa, mi ha proposto di entrare nel settore giovanile. E io sono contentissimo di poter cominciare da allenatore proprio con la Lazio".
Con il fratello ci son state poche occasioni per giocare insieme, ma almeno in questo frangente della vita anche lui ha potuto sostenerlo, assieme a tutta la famiglia: "Pippo e i miei genitori hanno ap­poggiato la scelta. Il mio obiettivo era restare a Roma. Alla Lazio gli spazi si stavano chiudendo, avrei potuto giocare per altre due stagio­ni cambiando squadra, ma non mi andava. Così ho accettato la propo­sta della società. Devo ringraziare Lotito per l’opportunità che mi ha dato e perché è stato di parola. Ho sempre pensato di restare nel calcio quando avrei smesso, mi sembrava fosse arrivato il momento giusto".
Il legame con Superpippo è sempre stato forte, da quando si giocava con la palla di pezza in salotto, al debutto in Nazionale. Fino ad arrivare ai nostri giorni, quando Simone tesse le lodi del fratello recordman di presenze e gol, a 37 anni suonati. E anche lui, ne è sicuro, un giorno siederà in panchina: "Penso di sì, ma è ancora presto per parlarne. Avete visto come sta? In tre partite ha già segnato due gol e si è procurato un rigore a Cesena. A 37 anni mi sembra che sia più in forma rispetto a quando ne aveva 30. Credo abbia ancora molta voglia di giocare e di mettere il pallone in rete. Poi resterà nel calcio. Potreb­be fare l’allenatore. Io, però, lo ve­do come direttore sportivo: se ne in­tende tanto».
Domani, alle 15, comincia l'avventura da allenatore. La competizione è tanta, a cominciare dal derby con la Roma di un altro bomber, Sandro Tovalieri. "Quando è uscito il calendario, so­no andato a vedere subito le date del derby con la Roma di Sandro Tova­lieri. Giocheremo il 15 gennaio in casa all’andata e il 6 maggio a Tri­goria. C’è anche l’Atletico Roma, ma in questa categoria non sono te­mibili solo le rappresentative di club professionistici. Ce ne sono al­tre, appunto come il Tor di Quinto, che a livello giovanile hanno sem­pre fatto risultati. Spero di partire bene. E anche di recuperare qual­cuno dei miei ragazzi. Questa setti­mana una decina di loro sono rima­sti a casa per un virus intestinale".
Dall'esuberanza in spogliatoio e gli scherzi con Rocchi e compagni al rigore con i ragazzi: "No, sono sempre uguale. Ma è chiaro che il rapporto sia cambiato. Avverto le responsabilità. Sono un allenatore esigente il giusto. Voglio che in quelle due ore i ragazzi si im­pegnino e pensino solo a lavorare".
E c'è anche la benedizione dei vecchi amici: " La cosa più bella, e mi ha fatto davvero piacere, è che tutti mi ve­dono portato verso questo mestiere. Quando posso, cerco di andare a trovarli nello spogliatoio di Formel­lo, ma gli orari dell’allenamento spesso coincidono. Mi è venuto a trovare Matuzalem. Li sento tutti molto vicini. Mi capita di vedere Rocchi, Foggia, Mauri e gli altri. Kolarov mi telefona spesso dall’In­ghilterra per sapere come sta an­dando".
L'impronta tattica è moderna, tre rifinitori e una punta, lontana da quella dell'ultimo mister avuto, Edy Reja: "E’ una Lazio votata all’attacco. Sto giocando con il 4- 2- 3- 1 perché ho tanti giocatori con caratteristi­che offensive. Mi piace il modulo al­la spagnola". Ma comunque c'è la disponibilità a cambiare le proprie idee: "No, niente integralismi. Si potrà sempre cambiare. Adesso giochia­mo così perché lo richiedono le ca­ratteristiche della squadra. Certo mi piace il calcio d’attacco. Chiedo ai miei ragazzi di giocare sempre la palla, questa deve essere la menta­catore lità. Il pallone bisogna giocarlo, non buttarlo".
Su una cosa non ha dubbi, molto più facile da calciatore che da allenatore che deve scegliere e bocciare i ragazzi: "Tra i due ruoli cambia tutto. Era meglio, era più facile giocare. Andavi al campo e quando ti eri allenato due ore, finiva tutto il tuo lavoro. Ora a casa mi porto i pensieri, le tensioni per la formazio­ne, le tabelle degli allenamenti. E’ molto più difficile questo mestiere. Anch’io ho venticinque giocatori in organico e ne posso por­tare soltanto diciotto tra campo e panchina. Le scelte sono sempre complicate. Ora capisco quelli che erano i miei allenatori...".
Pochi obbiettivi, il primo è divertirsi per imparare meglio, per dei ragazzi che non devono avere troppe pressioni: "Dobbiamo mantenere questo entusiasmo. Domenica abbiamo vinto un torneo ad Amatrice battendo l’Ascoli ai ri­gori. Alla fine, dopo l’ultimo tiro, tutti i ragazzi si sono messi a corre­re e ad abbracciarsi come se avessi­mo vinto la Champions League. E’ stato bellissimo, emozionante. E vorrei si conservasse questo spi­rito. Cercheremo di far bene il no­stro campionato, di divertirci. Sa­rebbe una soddisfazione se qualcu­no di questi ragazzi diventasse così bravo da esordire tra qualche anno in prima squadra con la Lazio. Que­sto, ovviamente, è l’obiettivo del settore giovanile. Far uscire qual­che altro talento".
Nessun mentore ma tante personalità della panchina dalle quali attingere a piene mani: "Ho appreso qualcosa da tutti. Ne ho avuti tanti bravissimi: da Eriks­son a Mancini, passando per Delio Rossi, ma se proprio devo fare dei nomi, mi sento di ringraziarne due. Uno è Giuseppe Materazzi, perché al Piacenza, nonostante ci fosse la concorrenza di altri quattro attac­canti, mi ha fatto esordire e giocare in serie A. Ricordo la prima partita, segnai proprio alla Lazio, un segno del destino. E poi un grosso grazie va a Roberto Mancini, perché mi ha permesso di arrivare alla Lazio. Senza di lui non ci sarebbe stata questa storia. Ma tutti sono stati bravi. Mi fa piacere ricordare an­che Ballardini. E’ un allenatore molto preparato, faceva lavorare bene. Purtroppo nel calcio contano i risultati e non è stato molto fortu­nato alla Lazio".
L'ultimo suo gol in biancoceleste volle dire primato in classifica. L'ultima volta prima d'ora, dove i capitolini appaiano l'Inter e guardano tutti dall'alto: "E'vero. Ma ora bisogna dare i meriti a questa Lazio. Hanno costruito una signora squadra, con grande raziocinio. Sono tut­ti giocatori importanti, Reja ha co­perto ogni ruolo con due pedine".
Grande fiducia e ottimismo per il futuro della squadra di Reja. A patto di non fare troppi proclami e voli pindarici. "Se continueranno a lavorare così, senza clamori, potranno far felici i tifosi. Ci sono le possibilità per arri­vare davvero lontani. L’importante è non avere problemi, non porsi de­gli obiettivi. La Lazio dovrà cercare di giocarsi una partita alla volta con lo stesso spirito, ma senza darsi pressioni. Questa squadra può lot­tare alla pari anche con le grandi".
Chiusura per il sogno nel cassetto. Arrivare laddove ora siede Reja: "Magari. Questo è il grande so­gno. L’ultimo sogno che mi è rima­sto. Spero davvero che si possa rea­lizzare, ma dovrò dimostrare sul campo di meritarlo. Devo ancora prendere i patentini di seconda e di prima categoria, devo finire gli stu­di, ho bisogno di altra esperienza. Ci vuole tempo. Solo il campo dirà se lo merito".
Fonte: www.goal.com/it
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